L’urgenza di salvare le quattro banche italiane commissariate, prima del debutto del bail-in che potrebbe chiamare a pagare anche i correntisti, ha portato a una decisione drastica.
In tre mettono sul piatto 4 miliardi
Intesa SanPaolo, Unicredit e Ubi (cioè i tre principali gruppi bancari del Paese, se si esclude Mps, che è in forte difficoltà) hanno garantito 1,33 miliardi di euro a testa per finanziare il salvataggio degli istituti in amministrazione straordinaria, vale a dire Banca Marche, Popolare dell’Etruria, Cr Ferrara e Cari-Chieti. I soldi non andranno direttamente a questi istituti, ma al Fondo di risoluzione delle crisi bancarie, che si occuperà del salvataggio.
Tra good e bad bank
Intanto, ciascuno dei quattro istituti interessati è stato diviso in due entità: da una parte la bad bank, nella quale sono stati conferiti i crediti in sofferenza (soprattutto i prestiti concessi a famiglie e imprese, che faticano a ripagarli), che complessivamente ammontano a 8,5 miliardi di euro.
In un secondo momento queste somme confluiranno in un’unica bad bank, che nel tempo proverà a risanare gli asset per recuperarne il più possibile. Mentre i crediti “buoni” restano in carico ai quattro istituti risanati.
Lo spettro del bail-in
L’impegno straordinario dei tre principali istituti italiani – che in sostanza hanno anticipato le quote dovute all’anno nei prossimi due anni – è stato dettato dalla necessità di trovare una soluzione interna al sistema
bancario (quindi senza denaro pubblico), prima del debutto del bail-in. Le regole comunitarie, che entreranno in vigore in Italia il 1° gennaio prossimo, impongono infatti di affrontare le crisi degli istituti di credito senza fare ricorso al denaro dello Stato. Così, in caso di nuovi capitomboli, saranno chiamati a rispondere gli azionisti, gli obbligazionisti e, se non basterà anche i correntisti per i depositi superiori ai 100mila euro.