Un piccolo aumento, appena un quarto di punto percentuale. Eppure il rialzo del costo del denaro deciso dalla Federal Reserve è di portata storica, perché significa che l’economia statunitense ha potenzialmente imboccato il sentiero di ritorno alla normalità. Alla fine del 2008 la tempesta finanziaria si stava trasformando in crisi economica: l’estremo rimedio della Fed di Ben Bernanke fu abbattere i tassi.
“Il rialzo odierno – ha spiegato in conferenza stampa l’attuale governatrice Janet Yellen – segna la fine di un periodo straordinario durato sette anni durante il quale i tassi sono rimasti vicini allo zero per sostenere la ripresa dell’economia dalla peggior recessione dai tempi della Grande Depressione”.
In molti, sui mercati, si saranno forse abituati alla liquidità a basso costo. Ma questa misura fu presa in un momento in cui l’implosione del sistema finanziario simboleggiata dal fallimento di Lehman Brothers aveva cambiato il dna dell’economia. Dopo anni di credito facile la fiducia di governi, banche, aziende e famiglie era irrimediabilmente incrinata, con una conseguente ondata di avversione al rischio.
Ebbene: oggi, dopo tre programmi di stimolo monetario da parte della Fed e numerosi salvataggi governativi, l’economia statunitense è ripartita. La crescita viaggia intorno al 2% e la disoccupazione è scesa al 5%. Soltanto l’inflazione rimane sotto l’obiettivo del 2%, ma per la Fed è solo l’effetto del calo dei prezzi del petrolio.
Per approfondire l’impatto globale dell’aumento dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve, Euronews ha parlato con Craig Erlam, analista di Oanda in collegamento da Londra.