Il conto alla rovescia è iniziato. Il 16 dicembre la Federal Reserve deciderà se porre fine all’era dei tassi zero, avviando la prima stretta dopo sette anni. Una decisione attesa da molti analisti, che promette di generare conseguenze importanti sui mercati, non solo quelli finanziari.
Probabilità al 70%
Secondo i money manager intervistati nelle ultime settimane, la possibilità di un ritocco verso l’alto del tasso ufficiale ha il 70% di probabilità, contro un 30% di esperti secondo i quali il saggio resterà immutato. A favore dell’avvio del processo di normalizzazione giocano diverse ragioni: in primis
la ripresa negli Stati Uniti, giunta ormai al terzo anno, con la prospettiva di un Pil in crescita del 2,5% anche nel 2016. Quindi la quota dei senza lavoro che ha ormai raggiunto il 5%: una situazione vicina alla piena occupazione che rischia di generare pressioni inflazionistiche. In terzo
luogo il rischio che, insistere con i tassi zero (che devono per forza di cose essere una misura straordinaria) possa portare al formarsi di bolle sul mercato.
I rischi
Eppure non mancano le ragioni per un rinvio. La minaccia principale riguarda i mercati emergenti, già alle prese con una situazione di fragilità. Il rialzo dei rendimenti relativi ai titoli di Stato americani spingerebbe molti investitori a togliere i propri soldi da quei mercati per portarli in America. Con il rischio concreto di una pesante svalutazione delle valute locali. Per altro, la stretta sui tassi generalmente porta con sé un
rafforzamnto della valuta e un dollaro forte è una prospettiva negativa per l’economia statunitense, in quanto penalizza le esportazioni.
Così la sensazione è che il rialzo vi sarà, ma sarà limitato allo 0,25%. Nei primi mesi del 2016 si procederà con la stretta, ma senza strappi, in modo da evitare reazioni violente sui mercati. Gli Usa sono la locomotiva dell’economia mondiale e nel fare le loro scelte non possono prescindere dalle conseguenze (anche solo potenziali) sugli altri mercati.